sabato 28 febbraio 2009

L'ATTACCO AL DIRITTO DI SCIOPERO E' UN ATTACCO ALLA DEMOCRAZIA

Comunicato stampa
Cub – Confederazione Cobas – SdL intercategoriale


Con le nuove norme previste dal Governo sul diritto di sciopero si sta andando rapidamente verso un nuovo e pericolosissimo capitolo del più vasto tema della limitazione delle libertà sindacali e costituzionali, della democrazia nel mondo del lavoro e nella società.
Dietro un linguaggio formalmente tecnicistico, presentato come un intervento per il solo settore trasporti, il governo predispone la legislazione per gestire la fase attuale e futura di grave crisi economica e le conseguenti risposte dei lavoratori al tentativo di farne pagare a loro il costo. Ciò è confermato dal fatto che il governo ha annunciato norme che dovrebbero impedire di bloccare strade, aeroporti e ferrovie, forme di lotta utilizzate da tutti i lavoratori in casi particolarmente drammatici.
L'attacco al contratto nazionale, le nuove norme che si intendono introdurre sulla rappresentatività sindacale, la nuova concertazione tra governo, confindustria e sindacati confederali che si è trasformata in una vera e propria alleanza neocorporativa, sono elementi finalizzati ad impedire le rivendicazioni e la difesa dei diritti dei lavoratori. Ciò avviene proprio quando più grave è la crisi economica, più pesanti le conseguenze per i lavoratori e maggiore la necessità di risposte determinate.
Lo scopo del governo è quello di imporre per legge la pace sociale, vietando e criminalizzando il diritto di sciopero. Di ridurre al silenzio i lavoratori mentre si celebrano i misfatti nel settore dei trasporti - Fs , Tirrenia, Alitalia - con migliaia di esuberi, di messa in mobilità, di licenziamenti e il relativo aggravio sulla qualità del servizio e dei costi
UN COLPO DI MANO CHE VA SVENTATO SUL NASCERE , INSIEME A TUTTI I TENTATIVI PROTESI A
METTERE AL BANDO LA COSTITUZIONE E I DIRITTI FONDAMENTALI.
Illegittima e autoritaria l'ipotesi di consegnare lo sciopero, che è un diritto individuale sancito dalla Costituzione, alla disponibilità gestionale di sindacati che rappresentino il 50% dei lavoratori; assurdo perché in molte aziende la sindacalizzazione non arriva neanche al 50%. Nonché il referendum preventivo che tende a dilazionare e snaturare l'azione di sciopero, già oggi estremamente contrastata dalle limitazioni della Commissione di Garanzia e dai ripetuti divieti del governo. Altrettanto improponibile è l'adesione preventiva allo sciopero, un non senso giuridico che prevederebbe l'impossibilità del singolo di poter mutare il proprio atteggiamento rispetto ad un'azione sindacale indetta. Inaccettabile infine la forma di lotta virtuale che di fatto elimina il diritto di sciopero ed assegna alle parti la capacità/volontà di individuare la “penale”
per l'azienda in caso di “sciopero lavorato”, mentre ai lavoratori si ritira l'intera giornata di lavoro: quindi la perdita secca della giornata per il lavoratore ed una impercettibile riduzione dei profitti per l'azienda.
Contro questo ennesimo tentativo di eliminare il diritto di sciopero rispondiamo con la mobilitazione immediata contro governo e padroni, cisl, uil e ugl e finalizzando a questo obbiettivo gli scioperi già programmati a partire da quello per il trasporto aereo del 4 marzo.
Il sindacalismo di base ha indetto una manifestazione nazionale a Roma il 28 marzo e uno sciopero generale per il 23 aprile anche per difendere il diritto di sciopero e la democrazia
sindacale.



26 febbraio 2009

venerdì 27 febbraio 2009

LA PROLA D'ORDINE E' UNA SOLA, CATEGORICA E IMPEGNATIVA PER TUTTI




RIVOLUZIONE!!!





mercoledì 25 febbraio 2009

CRISI ECOMOMICA O FALLIMENTO DEL CAPITALISMO?

Al centro di questo incontro c'è una domanda che tutti si pongono: quella attuale è una delle tante crisi cicliche che ha conosciuto il capitalismo nel corso della sua lunga vita e che ad esso sono connaturate o si tratta, al contrario, di una crisi sistemica? Dalla discussione verranno fuori senz'altro risposte diverse, come è giusto che avvenga in unvero confronto democratico, che noi vogliamo auspicare e, per la parte che ci compete, realizzare.
A mio parere, la situazione odierna è strettamente legata al crollo dei regimi comunisti dell'Est europeo. In conseguenza di tale crollo, il capitalismo ha creduto di avere le mani libere per tornare allo status quo per rimettere in discussione i diritti fondamentali conquistati dai lavoratori, per realizzare una redistribuzione della ricchezza verso l'alto, cioè a discapito delle masse popolari e a favore dei ricchi, che sono diventati sempre più ricchi, mentre i poveri sono diventati sempre più poveri. Il capitalismo ha ridotto, innanzitutto, i salari, ma, se la gente
non ha soldi in mano, non può comprare, diminuiscono i consumi e, quindi, la produzione. Il rimedio è stato peggiore del male. Per evitare la contrazione dei consumi, si è fatto ricorso ad un'economia drogata: le famiglie sono state spinte, attraverso carte di credito, accensione di mutui a tasso variabile, ecc., a spendere più di quello che avevano, indebitandosi oltre la misura consentita.

Di conseguenza, non hanno potuto far fronte ai debiti contratti, mandando in crisi il sistema delle banche.
Di pari passo, è stato quel processo di finanziarizzazione dell'economia già previsto da Marx e ben
delineato da Lenin in un'Imperialismo fase suprema del capitalismo. Tale finanziarizzazione è molto pericolosa e rischia di mettere in crisi l'intero sistema capitalistico, per due ordini di motivi. In primo luogo, a differenza del capitale produttivo, che si riproduce e si espande con l'estrazione di plusvalore e profitto dalla forza lavoro nell'ambito del processo di produzione, il capitale in denaro è molto più irrequieto ed impaziente, molto fluttuante ed incontrollabile, talvolta schizofrenico. In secondo luogo, se, come è accaduto per effetto della finanziarizzazione, le banche sono pure proprietarie delle industrie, la loro crisi determina quella delle stesse
industrie. Perciò la distinzione che alcuni economisti e politici, da Berlusconi a Veltroni, fanno in questi giorni, tra economia finanziaria ed economia reale è puramente di scuola, perché esse hanno finito per coincidere.
Ne deriva che l'intero sistema economico, con la crisi del sistema bancario, rischia di essere travolto.
Le soluzioni proposte assomigliano molto ai pannicelli caldi.

Si è parlato, anche da parte delle socialdemocrazie europee, del ritorno alle regole, di un capitalismo ben temperato, in contrapposizione alla deregulation degli anni passati. E' da centocinquanta anni che si alimenta questa speranza, anzi questa illusione. E' come pretendere una tigre vegetariana o un bue senza corna.
Il capitalismo è la legge della giungla. Ha ben scritto Marx: Il capitale ha orrore della mancanza di profitto. Quando subodora un vantaggio ragionevole il capitale diventa insolente. Al 20% diventa entusiasta. Al 50% è prepotente; al 100% pesta sotto i piedi le leggi umane e al 300% non indietreggia dinanzi ad alcun crimine.
Si è parlato a sproposito di un ritorno al keynesismo. Ben diversa è la funzione attribuita oggi
all'intervento dello Stato. Difatti, Keynes sostenne, all’epoca della grande crisi del 1929-33, che lo Stato doveva diventare imprenditore nelle attività produttive per diminuire la disoccupazione, stimolare la domanda aggregata e regolare la circolazione monetaria attraverso la Banca centrale, la quale deve fare in modo che il saggio di interesse corrente sul mercato non superi l'efficienza marginale del capitale. Naturalmente quella keynesiana era una terapia che cercava semplicemente di attenuare le crisi cicliche del capitalismo e che non poteva risolverne le
contraddizioni insanabili.
Per converso, gli interventi statali odierni – come lo stesso Berlusconi ha tenuto a precisare non sono diretti a nazionalizzare, bensì solo a puntellare le banche in crisi, allo scopo di salvare i grandi patrimoni societari in mano ai grandi azionisti, dopo che quelli medi e piccoli hanno già pagato enormemente a causa del crollo dei titoli azionari. In secondo luogo, tali interventi tendono a salvaguardare il meccanismo perverso che consente facili
guadagni speculativi e trasferisce ricchezza dalla classe media a quella ricca. Ecco perché quest'ultima ha dato il benvenuto all'intervento pubblico, mentre fino a qualche mese prima esso veniva considerato lesivo della libera concorrenza che, come una mano invisibile e miracolosa per usare un'immagine tanto cara ad Adamo Smith, avrebbe garantito, da sola, il benessere di tutta la società.
Miliardi di denaro pubblico vengono, dunque, regalati ai gruppi finanziari dominanti e bruciati grazie al meccanismo, anch'esso perverso, della borsa. Il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, presidente della Caritas internazionale e osservatore della Santa Sede alla Banca mondiale e al Fondo monetario internazionale, rivela, sulle colonne di
Famiglia Cristiana (n. 45/2008), che basterebbero a sfamare un miliardo di persone denutrite nel mondo 30 miliardi di dollari all’anno, cioè meno del 5% del piano della Casa Bianca a favore delle banche. Lo stesso cardinale propone l'istituzione di un Tribunale internazionale per i crimini finanziari, che, addirittura, producono molti più morti delle guerre, per fame, sete e malattie. Se lo propone lui, che rappresenta la Chiesa cattolica, ossia uno
dei principali puntelli del sistema capitalistico mondiale, non vedo perché non dovremmo proporlo noi, che siamo per il superamento di questo sistema.
Ma, per tornare alla domanda di partenza: la crisi attuale è in grado di far crollare il capitalismo? Da sola no. Essa può determinare la stagnazione economica, non il crollo finale. Labbattimento del sistema capitalistico richiede un'azione cosciente, altrimenti la sua crisi può durare anche secoli, come quella dell'impero romano. Per questo è necessario un soggetto politico che sia protagonista della trasformazione economico-sociale. Ciò significa che in Italia bisogna compiere tutti gli sforzi necessari per la creazione di un solo partito che riunisca tutti i comunisti. Chi non
vuole un solo partito comunista, in realtà, non ne vuole nessuno, perché, in stretto rapporto con l'accentramento dei capitali in poche mani e con il potenziamento dei monopoli, si è realizzato un nuovo autoritarismo politicoistituzionale, che, dando attuazione, nel nostro Paese, al Piano di rinascita nazionale di Licio Gelli, si propone, attraverso un sistema di controriforme, basato su sistemi elettorali maggioritari e soglie di sbarramento, di cancellare dalla scena politica e dal campo istituzionale ogni presenza comunista.

Chi si oppone alla nascita di un solo partito comunista si assume la responsabilità di consentire la realizzazione di tale piano.

Antonio Catalfamo

TRATTO DAL CONVEGNO TENUTOSI IL 22 NOVEMBRE 2008 NELL'AULA COSIGLIARE DELLA PROVINCIA REGIONALE DI MESSINA, ORGANIZZATO DAL CIRCOLO CULTURALE "QUARTO STATO".

Ordine Pubblico e Ordine Sociale

L'ORDINE PUBBLICO COME CAVALLO DI BATTAGLIA DELLA DESTRA

L'ordine pubblico, inteso come sicurezza dei cittadini dalla micro – criminalità, passa storicamente come cavallo di battaglia dei partiti di destra tipo Alleanza Nazionale e la Lega Nord, ma anche di alcuni partitini
dell'estrema destra. Oggi in Italia è anche appannaggio della sinistra, giacché il modello americano impone che anche la sinistra, sotto sotto, sia di destra. Non a caso ci sono in Italia alcuni comuni amministrati dalla sinistra post DS, oggi veltroniana, le cui ordinanze in materia di ordine pubblico e telecamere fanno invidia al Grande Fratello (quello di Orwell, non quello di Canale 5).
Ma la bufala maggiore, in materia, arriva dal neofascismo, anzi, dalle sue correnti di destra appunto.
Si ritiene infatti che l'ordine pubblico sia appannaggio del modello fascista in quanto la nonna raccontava che durante il ventennio si dormiva con la porta aperta e si poteva lasciare la bicicletta senza legarla, che nessuno te la rubava, ma soprattutto non c'erano i marocchini.
Evidentemente sotto il fascismo l'ordine pubblico era mantenuto assai meglio di oggi, e non solo per la capacità tecnica dei relativi apparati polizieschi (qualità che c'era), ma anche perché la società di allora aveva, rispetto a quella di oggi, più che un maggiore senso etico, un maggiore senso comunitario. Ma di questo diremo oltre.
L'ordine pubblico era però altrettanto ben tenuto negli stati del così detto comunismo storico
novecentesco, come l'Unione Sovietica, la Germania Democratica e la Cina, quindi la spiegazione deve per forza essere un'altra. Probabilmente ogni stato, inteso come società umana aggregata ed organizzata, ha come proprio interesse l'ordine pubblico, visto che è organizzato secondo una struttura che ha interesse a difendere.

ORDINE PUBBLICO OGGI

Proprio per la ragione appena esposta, ossia che ogni stato tende ad autodifendersi e tale autodifesa passa per il mantenimento dell'ordine pubblico, è assurdo che l'ordine pubblico stesso faccia la parte del leone nei programmi dei partiti e dei movimenti che si dichiarano antisistema e che vorrebbero cambiare
lo stato attuale delle cose. Proprio in questo consiste la battaglia di retroguardia: interessarsi a qualcosa che ha come principio la difesa dello stato attuale delle cose che invece a chi milita non sta bene e vorrebbe cambiare. Recita il manifesto di Alternativa Antagonista in materia di ordine pubblico: “e a noi che cosa ce ne importa? Perché svolgere i compiti attribuiti alle forze dell’ordine come guardie bianche del Potere? Perché difendere, con ottica reazionaria, gli interessi e la mentalità borghesi? E a quel punto, perché allora non fare le manifestazioni pure “contro il maleducato che sporca per terra”, “contro la mafia” magari a Bolzano, “contro l’uso eccessivo di alcolici che provoca numerosi incidenti stradali” o “lerisse in discoteca”?!”.
É evidente che a nessuno, nemmeno a chi vorrebbe abbattere lo stato attuale delle cose, farebbe piacere subire un'aggressione in mezzo alla strada o che la subisse un proprio caro o un proprio familiare, ma è altrettanto evidente che un'analisi politica di chi ragiona su temi di importanza collettiva non può solo passare attraverso situazioni individuali ed emotive. Per chiarire il tutto con un esempio riportiamo il testo di un lungo comunicato stampa nel quale, il 12 ottobre 2006, prendevamo una posizione di disinteresse nei confronti del degrado in cui versa il così detto “Toxic Park” di Torino: “In risposta alle innumerevoli accuse ricevute circa un mancato intervento politico nella questione del così detto “Toxic Park”, ci vediamo costretti a prendere posizione in merito col presente comunicato e controvoglia.
Controvoglia perché siamo abituati a disamine più approfondite prima di scendere in campo. Controvoglia perché siamo abituati ad intervenire con risposte, suggerimenti e azioni concrete. Non siamo lontani dal problema, alcuni dei nostri militanti vivono nel quartiere in questione, viviamo noi per primi molto male il degrado di quella come di altre zone della città, abbiamo passato e passiamo nottate ad attacchinare tra uno spacciatore e l'altro senza che mai siano avvenuti incidenti. Ma non possediamo nemmeno la bacchetta magica, né riteniamo che una bella manifestazione di piazza con balli e canti possa risolvere il problema. Non siamo intervenuti e – probabilmente – non interverremo perché le battaglie di retroguardia non ci interessano, né vogliamo difendere alcunché della attuale società. Ci permettiamo però di esternare alcune riflessioni in materia:
- anzitutto ci disgusta che una zona della nostra città sia chiamata “Toxic Park”, ennesimo nome ad
effetto inventato per i titoli sulla carta stampata, come “Tangentopoli”, “Mani pulite” etc., che i
giornalisti chiamino in quel modo il cortile di casa propria; - la questione è di una delicatezza
estrema, in quanto i fattori all'origine del degrado sono innumerevoli, e non basta la richiesta di
una retata per risolvere il tutto;
- il disagio coinvolge ormai abitanti, negozianti, passanti, ambulanti di qualunque nazionalità;
- le autorità amministrative locali stanno pensando a tutt'altro;
- le azioni di protesta fini a sé stesse non aiutano chi deve realmente affrontare il problema a farlo
con la necessaria serenità, anzi favoriscono il surriscaldamento del clima;
- la sicurezza degli abitanti che portano la sera a spasso il cane ci interessa fino ad un certo punto,
dal momento che, stantibus sic rebus, il giorno che spacciatori e delinquenti si sposteranno in un
altro quartiere, il problema per loro sarà risolto (tutto ciò è già successo a San Salvario e al
Fante). La Comunità bisogna crearla e difenderla tutti insieme, non uno per volta.
Fermo restando che anche noi siamo contro lo spaccio e la delinquenza, ma – ribadiamo – il problema va affrontato guardando al di là del proprio naso. I problemi vanno risolti alla radice. Per esempio chi c'è all'origine del traffico di droga? E dell'immigrazione sregolata e dei problemi che comporta? Siamo sempre lì.”

QUINDI: POLIZIA POLITICA ED ESERCITO POPOLARE

Dunque le forze dell'ordine, astrattamente intese come difensori dell'ordine, qualunque esso sia, hanno per noi il valore delle forze armate, anch'esse professioniste a tal punto da difendere la patria, da chiunque comandata: allo stato attuale, che non ci piace, hanno fatto un giuramento e vengono pagati per difenderlo. Pensare di delegare a loro la nostra difesa è da pazzi.
Non a caso il cambio di regime che ha interessato l'Italia nel 1945 non ha visto una generale epurazione di poliziotti e militari che sotto il fascismo prestavano servizio (salvo gli alti comandi e le eccezioni). Del pari, nella Germania Democratica, i primi agenti della Stasi venivano reclutati tra ex allievi ufficiali di una scuola di SS. Una soluzione alternativa a questo sistema di polizia potrebbe essere quello della “nazione armata”, anche detta “esercito popolare”, anche detta “polizia politica”. La prima locuzione sa di fascista, era un tema caro a Corridoni e veniva recuperato nei primi programmi dei fasci di combattimento. La seconda locuzione sa di comunista e veniva teorizzata ed applicata da Mao, oggi da Chavez. La terza locuzione ha solitamente connotazione negativa, come se la polizia politica debba necessariamente essere oppressiva e austro – borbonica.
In realtà il principio all'origine dei tre concetti è lo stesso: una forza armata di difesa o di polizia che sia politicizzata, oltre a svolgere il proprio mestiere per mangiare, è anche cosciente di ciò che fa, e quindi capisce e condivide il modello etico – politico che ispira lo stato che ha giurato di difendere. Quindi, magari, se le cose si mettessero male persevererebbe anziché scappare. Un altro esempio, questa volta storico e riguardante un fatto noto: il 10 giugno 1943, mentre Mussolini assisteva ad una parata di una legione corazzata della Milizia, gli anglo – americani sbarcavano nelle coste della Sicilia meridionale. Lo sbarco, caduti i fronti africani e le isolette del canale di Sicilia, era atteso e le fortificazioni dell'isola, seppur non terminate, erano allestite. La Sicilia, inoltre, era piena zeppa di divisioni, sia italiane che tedesche, ma solo queste ultime la difesero (per oltre un mese). Le truppe italiane, dotate anche di un nuovo tipo di semovente anticarro, si davano al si salvi chi può senza sparare un colpo. Erano sì stremate da tre anni di guerra andata sempre peggio, ma si trattava pur sempre del suolo patrio invaso e quella avrebbe dovuto essere la battaglia della vita, quella dove magari si trovano forze di reazione inaspettate.
Invece niente di tutto ciò. Questo perché si trattava di forze armate non popolari, ancorché formate dal popolo. A nessuno interessava l'esito della guerra, ma a tutti interessava che finisse al più presto, proprio perché si trattava di forze armate composte da normali civili richiamati alle armi, magari anche addestrati, ma per nulla politicizzati, e dunque incapaci di combattere e vincere una guerra nata per ragioni politiche.
La conclusione di questo paragrafo è che noi siamo indifferenti all'ordine pubblico in questo stato, perché di esso non ci interessa preservare nulla, nemmeno le coscienze. Ma in una società futura, a misura d'uomo come da noi sognata, saremmo l'avanguardia per il mantenimento dell'ordine.

IL SENSO COMUNITARIO DEGLI ANTICHI

Il riferimento alle coscienze appena fatto non è casuale: anzi. La nazione armata, con legionari – poliziotti politicizzati che oltre all'ordine pubblico difendono anche il relativo contesto etico, non basta. Non bisogna agire dunque solo sulle coscienze dei poliziotti, ma di tutta la gente. La società deve tornare ad essere comunità, perché oggi non è così. Il cittadino modello che chiede maggiore polizia per poter andare a portare a spasso il cane la sera, è anche quello che di fronte ad un'aggressione ai danni di qualcun altro probabilmente non interviene.
Le società antiche non erano così, perché erano comunità: a Roma un vero e proprio diritto penale, inteso come sistema di sicurezza pubblica, non esisteva; quello che oggi è il diritto penale, rientrava nel diritto pubblico, ossia in quello degli affari che riguardano la società nel suo complesso. Anche oggi, di riflesso, il diritto penale è qualificato come branca del diritto pubblico, ma nei manuali universitari e in nessun altro luogo. Nella Roma antica, invece, era cosa comune che l'autore di un reato all'aperto venisse individuato immediatamente e messo in condizione di non nuocere prima ancora dell'intervento della forza pubblica: era il così detto linciaggio della folla, che però oggi lincia qualcuno solo se veramente numerosa, mentre un tempo interveniva animata da un senso etico e comunitario: il cittadino interveniva perché parte della comunità, minacciata dall'illecito commesso.

CONCLUSIONE

Prima dell'ordine pubblico, occorre dunque raggiungere l'ordine sociale, del quale l'ordine pubblico è solo un elemento. L'ordine sociale è invece un valore, un qualcosa di etico e quindi di interiore. È un valore solidale, dunque comunitario.
Per tendere ad esso ci vuole prima la comunità.



Giovanni Di Martino

martedì 24 febbraio 2009

PROLETARI D'ITALIA, UNITEVI!