giovedì 22 settembre 2011

intervista / L’URSS TRA MARXISMO E TRADIZIONI

di Strategos - think-tank di geopolitica AGOSTO 24, 2011


A TU PER TU CON… MARCO COSTA

GNOSI, PATRIOTTISMO E ORTODOSSIA:
SPIRITUALITA’ NELLA RUSSIA SOVIETICA E POST-SOVIETICA



Abbiamo incontrato Marco Costa, ricercatore e saggista, autore del testo Soviet e Sobornost’ – correnti spirituali nella Russia sovietica e post-sovietica, recentemente pubblicato per la collana Gladio&Martello diretta da Stefano Bonilauri, nell’alveo delle Edizioni all’Insegna del Veltro, di Parma. Il testo è, come di consueto, un’ennesima valida ricostruzione storica volta ad individuare la precarietà dei confini storici tra le realtà socialiste del Novecento e il recupero delle rispettive tradizioni culturali e politiche. Emerge la figura di Stalin, quale principale artefice di una svolta nazionale ed imperiale all’interno del clima politico in Unione Sovietica, come concretizzazione di fermenti ideologici e spirituali, di vario genere e di complessa lettura, invero già pre-esistenti in epoca leninista. Ma vogliamo saperne di più.

Benvenuto Marco. Molto in voga nella Russia post-sovietica, e profondamente ignorato in Occidente, è il dibattito in merito alla rilettura del passato comunista. La portata storica dei settantaquattro anni di esistenza dell’Unione Sovietica, è talmente ampia e densa di avvenimenti, da non poter essere certo riassunta in qualche testo o in una breve considerazione. Tuttavia, scalpore ha suscitato la richiesta, avanzata da alcuni comunisti russi nel 2008, di aprire un percorso di canonizzazione di Josif Stalin. Esposta all’incredulità e all’ilarità del pensiero comune, questa proposta ha trovato forza in una letteratura ed in un filone sconosciuto ai più ma molto radicato negli ex territori sovietici di fede ortodossa (Russia, Ucraina, Bielorussia, Georgia ed in parte persino Kazakistan ed Estonia, dove risiedono corpose comunità di fede cristiano-orientale). Nel terzo capitolo del tuo libro, esponi una disamina attenta e documentata sul periodo storico ruotante attorno alla svolta del 1943, allorquando l’atteggiamento del governo centrale sovietico nei confronti della Chiesa Ortodossa, comincia a mutare rapidamente. Quali sono le tappe principali di questa ritrovata attenzione per le peculiarità culturali e religiose del Paese da parte del Soviet Supremo?

Gli aneddoti, spesso, hanno la straordinaria capacità di coniugare vicende particolari ad un clima storico, ad uno zeitgeist, descrivendo magari provocatoriamente il tentativo di conferire uno spirito di eternità universale ad un presente particolare ed episodico. La vicenda a cui fai riferimento, circa la richiesta di santificazione di Stalin, se certamente può suscitare anche una certa ilarità, va tuttavia ben oltre la semplice trovata folcloristica inquadrabile come uno dei tanti fenomeni di nostalgija post-sovietica. In Russia questa richiesta di canonizzazione del “piccolo padre”, chiamato affettuosamente nell’Urss djadja (zio, appunto), venne portata avanti, come sincera forma di religiosità popolare, da alcuni pope e da Sergej Malinkovich, leader del Partito Comunista di San Pietroburgo che, non risparmiandosi certo in fatto di spavalderia, dichiarò fiduciosamente che “entro la fine del XXI secolo in ogni chiesa ortodossa vi sarà un’icona di Josif Vissarionovich”. Ma tale iniziativa non fu affatto isolata, e per certi versi nemmeno originale, nel senso che già altre vicende analoghe avevano fatto emergere una sorta di saldatura popolare tra elementi tradizionali, ideologici, patriottici e religiosità popolare in Russia. Tanto per fare un esempio, ricordo che già padre Yevstafy Zhakov, parroco di Santa Olga a Strel’na, nei dintorni di San Pietroburgo, affisse tra le icone da venerare anche un ritratto di Stalin insieme alla Matrona di Mosca, una santa del Novecento, e che le sue citazioni nelle preghiere durante le funzioni religiose abbondavano di riferimenti al suo “terzo padre”, Stalin appunto, che caratterizzavano buona parte dei suoi sermoni dal pulpito. “Lo ricordo tutte le volte che è appropriato – dichiarò il sacerdote – il giorno del suo compleanno, della sua morte e quello della Vittoria. Era un vero credente”. L’icona di Stalin a Strel’na non è un caso isolato. Rientra nella più generale atmosfera di “nostalgia” e “riabilitazione” che avvolge la sua figura. Il culto della personalità del “piccolo padre”, difatti, non è mai morto. A tenerlo vivo pensa spesso il Partito Comunista della Federazione Russa. Il leader Gennady Zyuganov, lo ricorda sempre come “un grande statista e patriota i cui piani quinquennali hanno trasformato la Russia in un gigante economico”. Stando a un sondaggio del centro di ricerca All-Russian Public Opinion, il 64% degli intervistati valuta come positivo l’operato di Stalin. Mentre addirittura il 69% concorda con la frase secondo cui “Stalin fu l’uomo che ha portato la prosperità all’Unione Sovietica”. Non è un caso che anche il Cremlino abbia in qualche modo cercato di cavalcare questa nuova onda spirituale e patriottica – con buona pace del revisionista filoccidentale e liquidazionista Elstin, vera e propria sciagura per la Russia degli anni ’90 consentimi di dire – ricorrendo a svariate operazioni mediatiche ed editoriali ben mirate, volte a presentare uno Stalin quale figura di primo piano della lunga storia russa, riservandogli anche un ruolo primario sia nei testi scolastici che in diverse serie televisive. Questi sono fatti, credo, incontrovertibili; la mia opinione, semplicemente, è che tale sincretismo tra gli elementi di religiosità popolare e la figura di Stalin sia uno dei tanti episodi in cui “fedi” diverse si coniugano indissolubilmente nella cultura russa, come una costante, a prescindere dai rapporti tra ideologia e nostalgia che quotidianamente si sono rimodulati attraverso i secoli. E se fuori dalla chiesetta di Santa Olga, e in diverse città del Paese, vanno a ruba migliaia di santini che ritraggono l’effige di Stalin impreziosito di un’aureola, credo sia opportuno riflettere più complessivamente e ben oltre l’aspetto per così dire kitsch di questi fenomeni, anche delle forme di religiosità ideologica nel mondo (post)sovietico.

Anche tu, come molti analisti del passato, ti chiedi se questa inversione di tendenza e questo ritrovato sentimento nazionale, quando non persino imperiale, nell’approccio politico dell’Unione Sovietica sia spiegabile attraverso una progressiva maturazione strategica che permise a Mosca di recuperare consapevolmente l’eredità storica dell’Impero degli Zar in termini geopolitici, o, invece, attraverso un più profondo bisogno di arricchire l’ideologia e la cultura ufficiale dello Stato Sovietico con elementi e fattori tradizionali. Dunque, calcolo opportunistico o qualcosa di più?

Lasciami fare una breve premessa, a scanso di equivoci; nel libro ho cercato di sviscerare alcuni aspetti della storia russa e sovietica con il tentativo di sviscerare una serie di questioni irrisolte, o forse nemmeno mai seriamente affrontate nel mondo comunista occidentale, rispetto alle intersezioni storiche tra ideologia e spiritualità. C’è una complessità straordinaria in questo rapporto, tutta tesa a confutare i facili ed ossessivi semplificazionismi secondo cui socialismo reale fosse sinonimo di ateismo. Ben più ampiamente, le ragioni stesse dell’internazionalismo di maniera nel mondo comunista scivolano via da una analisi minimamente documentata dal punto di vista storiografico. Non vi è quindi nel libro il tentativo di riscrivere una storia per così dire “al negativo” secondo cui questo rapporto valoriale tra fede e patria vada ribaltato nella storia sovietica, ma semplicemente fare emergere la complessità dialettica di alcuni momenti particolari. Penso – e cerco di rispondere alla tua epocale domanda – che tale inversione di tendenza sia stata accelerata fondamentalmente a cominciare dagli eventi bellici della primavera del ’43 in poi, e dettato da due fattori fondamentali. Da un lato il tentativo di attingere ad ogni riserva spirituale del popolo russo riabilitando il ruolo della Chiesa Ortodossa ed anzi promuovendo e supportando l’intronazione del Patriarca, dall’altro completare quell’imponente progetto di edificazione etica della Russia sovietica, in cui gli elementi di rigore, patriottismo e fede sarebbero poi stati affiancati ai più noti elementi di pianificazione dell’economia. Ma tale riassetto complessivo che definirei “spirituale” e “valoriale” – su cui peraltro andrebbero analizzati anche fattori di ordine comunicativo e semiotico; basti pensare, ad esempio, alla spettacolare propagandistica murale e visiva dell’epoca – è stato certamente un cambio di rotta dal punto di vista strettamente giuridico. D’altronde se si sviscerano i testi filosofici del giovane Stalin, lo sdoganamento del patriottismo è l’estremo compimento di una coerenza anzitutto analitica, che si pone quale esperimento rispetto al marxismo più strettamente economicista degli albori come forma di marxismo dai “caratteri russi”. Come non ricordare le pagine diPrincipi del Leninismo, dove Josif Stalin definisce il leninismo “il marxismo dell’epoca dell’Imperialismo e della Rivoluzione proletaria”. Tocca infatti al fondatore dell’Unione Sovietica, già nei scritti antecedenti la prima Guerra Mondiale, tracciare e teorizzare la teoria comunista nell’epoca delle lotte anticoloniali e antimperialiste, ponendo in primo piano la cosiddetta questione nazionale. E sarà proprio Lenin ad affidare a Stalin, nel 1912, la stesura del saggio Il marxismo e la questione nazionale, che sarà, almeno fino alla morte dell’autore, la dottrina ufficiale del movimento comunista sulla questione delle nazionalità – a Stalin fu anche affidato il ruolo di commissario politico per le nazionalità nel Governo post-rivoluzionario fino al 1923. Lenin e Stalin si rendono conto della nuova e crescente importanza della questione nazionale ai fini della rivoluzione proletaria e sviluppano arditamente le basi teoriche e pratiche della politica nazionale della classe operaia, conformemente alle esigenze dell’egemonia del proletariato nelle lotte democratiche dell’epoca imperialistica, e iscrivono nel programma dei bolscevichi la rivendicazione del diritto di autodecisione delle nazioni. Nell’epoca dell’imperialismo, quando il movimento di liberazione nazionale assunse su scala mondiale proporzioni di grande rilievo, si rese necessario ordinare queste idee di Marx e di Engels in un organico sistema di concezioni sulle rivoluzioni nazionali e coloniali, così da legare tale questione a quella del rovesciamento dell’imperialismo, considerandola parte integrante del problema generale della rivoluzione proletaria internazionale. Ed è ciò che è stato fatto da Stalin in estrema coerenza rispetto al leninismo delle origini. A definire marxisticamente le caratteristiche fondamentali della nazione è Stalin in Il marxismo e la questione nazionale: “La nazione è una comunità stabile, storicamente formatasi, di lingua, di territorio, di vita economica e di conformazione psichica che si manifesta nella comune cultura”, rigettando, allo stesso tempo e con eguale vigore, sia le teorie razziali sia le ricostruzioni che concepiscono la nazione come un conglomerato effimero o casuale. Per Stalin “una nazione ha il diritto di decidere liberamente il suo destino. Ha il diritto di organizzarsi come le aggrada, naturalmente senza calpestare i diritti delle altre nazioni”. La “democratizzazione completa del paese” è il fondamento della soluzione alla questione nazionale in Russia, dove bisogna combattere contro “l’imperialismo interno”. La soluzione, incontrovertibilmente e lapidariamente, per Stalin è che “la Russia deve tradursi in un’unione di nazioni e le nazioni in un unione di individui stretti in un’unica società, indipendentemente dalle regioni dello stato in cui vivono”. Quindi è il principio dell’autodeterminazione dei popoli, già teorizzato da Lenin, l’idea necessaria per risolvere la questione russa. Non è un caso che questo principio di autodeterminazione potesse compiersi solo riottenendo gli antichi possedimenti territoriali dello zarismo, che la fine del primo conflitto mondiale lasciava ampiamente amputati ad occidente per i russi. Sempre a proposito di aneddotica, Stalin nella sua umile dacia di Kuncevo conservava un ritratto di Pietro il Grande e, per ovvie ragioni pur disprezzando lo zarismo quale forma di decomposizione di un regime ormai assolutamente antinazionale oltreché antiproletario, non faceva mistero di ispirarsi alla sua figura nel tentativo di riconquista dello spazio nazionale russo, in quei giorni minacciato dall’avanzare delle armate naziste durante l’operazione Barbarossa.

Nei bolscevichi è sempre esistito un carattere mistico, nutrito di elementi gnostici e di speranze teleologiche, che evidenzi molto puntualmente nel tuo primo capitolo. In particolare, riporti le parole di Nikolaj Berdjaev che afferma: “il popolo russo è religioso per sua natura, per carattere e struttura spirituale. L’inquietudine religiosa investe anche i non credenti. L’ateismo, il nichilismo e il materialismo hanno acquisito in Russia una sfumatura religiosa. I russi ignorano lo scetticismo raffinato dei francesi; sono credenti anche quando predicano un comunismo materialistico. Anche quei russi che non solo hanno perduto la fede ortodossa, ma addirittura la perseguitano, conservano nel profondo dell’anima un’impronta dell’Ortodossia. L’idea russa è escatologica, rivolta al fine ultimo. Di qui il massimalismo russo”. In particolare ritieni significativo – alcune pagine più avanti – lo spostamento della capitale da San Pietroburgo a Mosca, interpretandolo come un vero e proprio ribaltamento emblematico della politica tendenzialmente laica e relativamente “europeista” di Pietro il Grande nel XVIII secolo, che sciolse il Patriarcato e fece costruire il nuovo centro imperiale. In Russia, ancor oggi si dice che Stalin abbia messo un’inferriata laddove Pietro aprì una finestra, salvando così l’Unione Sovietica e la Russia, nella sua interezza culturale, dalle nefaste influenze occidentali. Quanto c’è di vero in tutto ciò?

Berdjaev, che con il bolscevismo mantenne rapporti sempre abbastanza tesi e contraddittori, ebbe tuttavia il merito di coglierne un senso profondo, un’anima mistica, quasi un comune denominatore presente nello sviluppo culturale del popolo russo. Riassumendo estremamente, egli intravide il senso profondo della vittoria del bolscevismo nella sua origine gnostica; proprio come una fede monoteista, esso aspirava ad essere una forza nuova al servizio dell’umanità. Il socialismo utopistico di Saint-Simon e il socialismo scientifico di Karl Marx appaiono ugualmente intrisi di pretese religiose, vogliono offrire una concezione d’assieme della vita, risolvere tutti i suoi problemi, sottolineò Berdjaev. Il socialismo, in questo senso, ha un carattere messianico. Ai suoi occhi, esiste una classe predestinata dalla storia ed una struttura rivelatrice, il Partito. Tutti gli attributi del popolo eletto da Dio (attraverso la presa di coscienza, nella terminologia leninista) adesso vengono similarmente trasferiti. Il popolo russo tende verso il Regno di Dio. Ed è questo che spiega non solo le sue virtù, ma anche molti dei suoi vizi. Il Regno di Dio, infatti, gli sfugge. L’anima dell’uomo russo tende storicamente verso il Regno di Dio, ma cede facilmente alle tentazioni, alle contraffazioni e alle illusioni, cade facilmente preda del regno delle tenebre, in un dualismo che il leninismo ha perfettamente schematizzato e recepito. Vi è nei bolscevichi qualcosa di un altro mondo, che appartiene all’aldilà – sempre nell’analisi berdjaeviana – ed energie magiche emanano perfino dai bolscevichi più ordinari. Dietro ogni bolscevico agisce un fideismo collettivo, che accompagna il popolo russo in un sogno politico incantato, che forgia la nazione russa in un cerchio magico. Mi sono divertito, in questo senso, ad accennare anche ad un’altra riflessione sul carattere orientale, messianico ed etico-spirituale del primo bolscevismo, citando un paio di articoletti di Antonio Gramsci del 1917 (Una Rivoluzione contro il Capitale eCosa ci insegnano i bolscevichi), in cui si scorge, certo con un tono assai più enfatico e strettamente militante, la peculiarità antieconomicistica del leninismo, visto anzitutto come grande fenomeno di purificazione morale della grande nazione russa nell’epoca di sua maggiore corruzione morale, burocratica e abiura militare, a cui lo zarismo in piena disgregazione l’aveva condotta.

Il rapido giro di analisi sulla Russia degli anni Novanta, che compi nel quarto ed ultimo capitolo, fornisce un quadro molto esauriente delle tendenze ideologiche e culturali riemerse dopo il crollo dell’Unione Sovietica, e di come queste abbiano indirettamente trasformato anche il partito che si propone quale diretto erede del vecchio PCUS, cioè il KPRF di Gennadij Zyuganov. Deržava, tradotto in italiano per le Edizioni all’Insegna del Veltro col nome di “Stato e Potenza”, è in tal senso un testo fondamentale per comprendere a fondo le lezioni storiche assimilate dai comunisti russi e tutto un ampio patrimonio ideologico, che ad alcuni classici spunti politici del passato leninista – quali la centralità dello Stato, il mito della modernizzazione tecnica del Paese, l’inossidabile sentimento anti-imperialista e l’incremento delle forze produttive – aggiunge l’idea imperiale della Terza Roma, riletta ed attualizzata in virtù della scienza geopolitica, e il recupero in chiave social-popolare di istanze e concetti ortodossi quali sobornost’ e narodnost’. È plausibile pensare ad un ritrovato connubio tra una consistente parte delle gerarchie ortodosse e il nuovo Partito Comunista di Zyuganov in vista delle prossime elezioni del 2012?

Anche qui, breve premessa; proponendo una carrellata dei movimenti che aspirano a riappropriarsi oggi in Russia di concetti quali patria o fede, ed al contempo difendere le conquiste sociali, territoriali, geopolitiche e civili dell’Unione Sovietica, ci si rende immediatamente conto che alcune categorie di analisi e la dicotomia destra/sinistra siano del tutto inappropriate per descrivere – prima ancora che per giudicare – la geografia politica russa contemporanea, come anche di altri paesi del vecchio blocco socialista, si pensi alla Bulgaria o alla Serbia. Termini quale “conservatore” o “progressista” sono stati completamente spogliati dell’etimologia a cui siamo soliti fare riferimento, basti pensare ad un altro importante testo quale La rivoluzione conservatrice in Russia di Aleksandr Dugin, che smaschera perfettamente l’ambiguità solitamente attribuita al termine “conservatorismo”. Sulla stessa lunghezza d’onda, Stato e Potenza è un testo al tempo stesso geniale, originale ed eretico, nel senso che all’atto della sua pubblicazione ha avuto il merito di divulgare presso il pubblico italiano il background culturale all’interno del quale i comunisti russi di oggi cercano di rispolverare e rinvigorire categorie quali l’attaccamento alla patria, affondando radici di lungo corso nella storia russa – anche pre-sovietica – e cercando, peraltro con buone ragioni, di accreditarsi come i più legittimi prosecutori dei destini politici e spirituali della Santa Rus’. L’epica vittoria di Stalingrado, la difesa della nazione e la costruzione di un grande Impero sovra-nazionale, sono fattori che pesano ancora molto nell’identità russa contemporanea, ben oltre la retorica politica e l’opportunismo putiniano. Il concetto di sobornost’, a cui si appella anche Zjuganov, esprime l’idea comunitaria ed assembleare, legata non direttamente ad un’entità geografica o fisica, ma che più ampiamente insegue l’ambito di una dimensione spirituale esistente potenzialmente anche senza un principio di unificazione esterna, assurgendo al tentativo di fondere unità e molteplicità. In questo senso soviet e sobornost’ convivono come declinazioni del medesimo spirito comunitario, come destino di una nazione e di una cultura nelle sue varianti politiche – il soviet, il leninismo, ecc. – e spirituali – come comunità di destino, fondamento e forma teologale, come dinamica vitale e dimora rassicurante nello spirito. Rispetto al riferimento strettamente elettorale a cui ti riferisci, ricordo che un caso abbastanza simile è avvenuto nella Repubblica Moldava alla vigilia delle elezioni parlamentari del 2010, allorquando il presidente comunista in carica, Vladimir Voronin, nella sua campagna elettorale – guarda caso alacremente osteggiata da tutta l’opinione pubblica filoccidentale – organizzò un incontro ufficiale con un centinaio di sacerdoti della Chiesa Ortodossa nella città di Bălţi. L’incontro, presto ribattezzato con scarsa ironia dall’opposizione liberale filoamericana “l’ultima cena”, si concluse con il coinvolgimento del clero nella campagna elettorale in favore del Partito Comunista. Non credo, ovviamente, che il Patriarcato moscovita possa arrivare a tanto, in quanto una certa moderazione nei confronti del putinismo rimarrà senz’altro prevalente, ma a lungo andare – anche alla luce di una certa ambiguità di fondo che si può scorgere nel tandem Putin-Medvedev e delle connesse oligarchie sempre zigzaganti tra il quadro eurasiatico e le minacciose pressioni atlantiste in alcune repubbliche ex-sovietiche – credo che lo scioglimento delle contraddizioni economiche, sociali e geopolitiche della Russia putiniana non possa che sottendere maggiormente ad una ripresa delle tradizioni spirituali e comunitarie russe, a meno che il tritacarne spirituale ed esistenziale del capitalismo occidentale riesca – ma davvero non mi pare un’opzione sul breve termine – a fagocitare completamente il mondo post-sovietico. D’altra parte, credo sia abbastanza incontrovertibile la registrazione del sensibile incremento nel consenso elettorale del KPRF nelle ultime tornate regionali (con una media di circa il 30% dei voti e diverse regioni e città conquistate) avvenuto specularmene al pesante calo di Russia Unita, fotografando sostanzialmente un malcontento diffuso tra le classi lavoratrici, i funzionari pubblici, i pensionati ed anche gran parte delle forze armate che, negli ultimi anni, hanno costantemente visto erodere il loro tenore di vita in base ad un oggettivo processo di polarizzazione classista nella società russa contemporanea.

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Strategos ricorda che il testo Soviet e Sobornost’ è disponibile e ordinabile all’interno del catalogo delle Edizioni all’Insegna del Veltro, consultabile direttamente presso il sito internet della casa editrice.