mercoledì 25 febbraio 2009

Ordine Pubblico e Ordine Sociale

L'ORDINE PUBBLICO COME CAVALLO DI BATTAGLIA DELLA DESTRA

L'ordine pubblico, inteso come sicurezza dei cittadini dalla micro – criminalità, passa storicamente come cavallo di battaglia dei partiti di destra tipo Alleanza Nazionale e la Lega Nord, ma anche di alcuni partitini
dell'estrema destra. Oggi in Italia è anche appannaggio della sinistra, giacché il modello americano impone che anche la sinistra, sotto sotto, sia di destra. Non a caso ci sono in Italia alcuni comuni amministrati dalla sinistra post DS, oggi veltroniana, le cui ordinanze in materia di ordine pubblico e telecamere fanno invidia al Grande Fratello (quello di Orwell, non quello di Canale 5).
Ma la bufala maggiore, in materia, arriva dal neofascismo, anzi, dalle sue correnti di destra appunto.
Si ritiene infatti che l'ordine pubblico sia appannaggio del modello fascista in quanto la nonna raccontava che durante il ventennio si dormiva con la porta aperta e si poteva lasciare la bicicletta senza legarla, che nessuno te la rubava, ma soprattutto non c'erano i marocchini.
Evidentemente sotto il fascismo l'ordine pubblico era mantenuto assai meglio di oggi, e non solo per la capacità tecnica dei relativi apparati polizieschi (qualità che c'era), ma anche perché la società di allora aveva, rispetto a quella di oggi, più che un maggiore senso etico, un maggiore senso comunitario. Ma di questo diremo oltre.
L'ordine pubblico era però altrettanto ben tenuto negli stati del così detto comunismo storico
novecentesco, come l'Unione Sovietica, la Germania Democratica e la Cina, quindi la spiegazione deve per forza essere un'altra. Probabilmente ogni stato, inteso come società umana aggregata ed organizzata, ha come proprio interesse l'ordine pubblico, visto che è organizzato secondo una struttura che ha interesse a difendere.

ORDINE PUBBLICO OGGI

Proprio per la ragione appena esposta, ossia che ogni stato tende ad autodifendersi e tale autodifesa passa per il mantenimento dell'ordine pubblico, è assurdo che l'ordine pubblico stesso faccia la parte del leone nei programmi dei partiti e dei movimenti che si dichiarano antisistema e che vorrebbero cambiare
lo stato attuale delle cose. Proprio in questo consiste la battaglia di retroguardia: interessarsi a qualcosa che ha come principio la difesa dello stato attuale delle cose che invece a chi milita non sta bene e vorrebbe cambiare. Recita il manifesto di Alternativa Antagonista in materia di ordine pubblico: “e a noi che cosa ce ne importa? Perché svolgere i compiti attribuiti alle forze dell’ordine come guardie bianche del Potere? Perché difendere, con ottica reazionaria, gli interessi e la mentalità borghesi? E a quel punto, perché allora non fare le manifestazioni pure “contro il maleducato che sporca per terra”, “contro la mafia” magari a Bolzano, “contro l’uso eccessivo di alcolici che provoca numerosi incidenti stradali” o “lerisse in discoteca”?!”.
É evidente che a nessuno, nemmeno a chi vorrebbe abbattere lo stato attuale delle cose, farebbe piacere subire un'aggressione in mezzo alla strada o che la subisse un proprio caro o un proprio familiare, ma è altrettanto evidente che un'analisi politica di chi ragiona su temi di importanza collettiva non può solo passare attraverso situazioni individuali ed emotive. Per chiarire il tutto con un esempio riportiamo il testo di un lungo comunicato stampa nel quale, il 12 ottobre 2006, prendevamo una posizione di disinteresse nei confronti del degrado in cui versa il così detto “Toxic Park” di Torino: “In risposta alle innumerevoli accuse ricevute circa un mancato intervento politico nella questione del così detto “Toxic Park”, ci vediamo costretti a prendere posizione in merito col presente comunicato e controvoglia.
Controvoglia perché siamo abituati a disamine più approfondite prima di scendere in campo. Controvoglia perché siamo abituati ad intervenire con risposte, suggerimenti e azioni concrete. Non siamo lontani dal problema, alcuni dei nostri militanti vivono nel quartiere in questione, viviamo noi per primi molto male il degrado di quella come di altre zone della città, abbiamo passato e passiamo nottate ad attacchinare tra uno spacciatore e l'altro senza che mai siano avvenuti incidenti. Ma non possediamo nemmeno la bacchetta magica, né riteniamo che una bella manifestazione di piazza con balli e canti possa risolvere il problema. Non siamo intervenuti e – probabilmente – non interverremo perché le battaglie di retroguardia non ci interessano, né vogliamo difendere alcunché della attuale società. Ci permettiamo però di esternare alcune riflessioni in materia:
- anzitutto ci disgusta che una zona della nostra città sia chiamata “Toxic Park”, ennesimo nome ad
effetto inventato per i titoli sulla carta stampata, come “Tangentopoli”, “Mani pulite” etc., che i
giornalisti chiamino in quel modo il cortile di casa propria; - la questione è di una delicatezza
estrema, in quanto i fattori all'origine del degrado sono innumerevoli, e non basta la richiesta di
una retata per risolvere il tutto;
- il disagio coinvolge ormai abitanti, negozianti, passanti, ambulanti di qualunque nazionalità;
- le autorità amministrative locali stanno pensando a tutt'altro;
- le azioni di protesta fini a sé stesse non aiutano chi deve realmente affrontare il problema a farlo
con la necessaria serenità, anzi favoriscono il surriscaldamento del clima;
- la sicurezza degli abitanti che portano la sera a spasso il cane ci interessa fino ad un certo punto,
dal momento che, stantibus sic rebus, il giorno che spacciatori e delinquenti si sposteranno in un
altro quartiere, il problema per loro sarà risolto (tutto ciò è già successo a San Salvario e al
Fante). La Comunità bisogna crearla e difenderla tutti insieme, non uno per volta.
Fermo restando che anche noi siamo contro lo spaccio e la delinquenza, ma – ribadiamo – il problema va affrontato guardando al di là del proprio naso. I problemi vanno risolti alla radice. Per esempio chi c'è all'origine del traffico di droga? E dell'immigrazione sregolata e dei problemi che comporta? Siamo sempre lì.”

QUINDI: POLIZIA POLITICA ED ESERCITO POPOLARE

Dunque le forze dell'ordine, astrattamente intese come difensori dell'ordine, qualunque esso sia, hanno per noi il valore delle forze armate, anch'esse professioniste a tal punto da difendere la patria, da chiunque comandata: allo stato attuale, che non ci piace, hanno fatto un giuramento e vengono pagati per difenderlo. Pensare di delegare a loro la nostra difesa è da pazzi.
Non a caso il cambio di regime che ha interessato l'Italia nel 1945 non ha visto una generale epurazione di poliziotti e militari che sotto il fascismo prestavano servizio (salvo gli alti comandi e le eccezioni). Del pari, nella Germania Democratica, i primi agenti della Stasi venivano reclutati tra ex allievi ufficiali di una scuola di SS. Una soluzione alternativa a questo sistema di polizia potrebbe essere quello della “nazione armata”, anche detta “esercito popolare”, anche detta “polizia politica”. La prima locuzione sa di fascista, era un tema caro a Corridoni e veniva recuperato nei primi programmi dei fasci di combattimento. La seconda locuzione sa di comunista e veniva teorizzata ed applicata da Mao, oggi da Chavez. La terza locuzione ha solitamente connotazione negativa, come se la polizia politica debba necessariamente essere oppressiva e austro – borbonica.
In realtà il principio all'origine dei tre concetti è lo stesso: una forza armata di difesa o di polizia che sia politicizzata, oltre a svolgere il proprio mestiere per mangiare, è anche cosciente di ciò che fa, e quindi capisce e condivide il modello etico – politico che ispira lo stato che ha giurato di difendere. Quindi, magari, se le cose si mettessero male persevererebbe anziché scappare. Un altro esempio, questa volta storico e riguardante un fatto noto: il 10 giugno 1943, mentre Mussolini assisteva ad una parata di una legione corazzata della Milizia, gli anglo – americani sbarcavano nelle coste della Sicilia meridionale. Lo sbarco, caduti i fronti africani e le isolette del canale di Sicilia, era atteso e le fortificazioni dell'isola, seppur non terminate, erano allestite. La Sicilia, inoltre, era piena zeppa di divisioni, sia italiane che tedesche, ma solo queste ultime la difesero (per oltre un mese). Le truppe italiane, dotate anche di un nuovo tipo di semovente anticarro, si davano al si salvi chi può senza sparare un colpo. Erano sì stremate da tre anni di guerra andata sempre peggio, ma si trattava pur sempre del suolo patrio invaso e quella avrebbe dovuto essere la battaglia della vita, quella dove magari si trovano forze di reazione inaspettate.
Invece niente di tutto ciò. Questo perché si trattava di forze armate non popolari, ancorché formate dal popolo. A nessuno interessava l'esito della guerra, ma a tutti interessava che finisse al più presto, proprio perché si trattava di forze armate composte da normali civili richiamati alle armi, magari anche addestrati, ma per nulla politicizzati, e dunque incapaci di combattere e vincere una guerra nata per ragioni politiche.
La conclusione di questo paragrafo è che noi siamo indifferenti all'ordine pubblico in questo stato, perché di esso non ci interessa preservare nulla, nemmeno le coscienze. Ma in una società futura, a misura d'uomo come da noi sognata, saremmo l'avanguardia per il mantenimento dell'ordine.

IL SENSO COMUNITARIO DEGLI ANTICHI

Il riferimento alle coscienze appena fatto non è casuale: anzi. La nazione armata, con legionari – poliziotti politicizzati che oltre all'ordine pubblico difendono anche il relativo contesto etico, non basta. Non bisogna agire dunque solo sulle coscienze dei poliziotti, ma di tutta la gente. La società deve tornare ad essere comunità, perché oggi non è così. Il cittadino modello che chiede maggiore polizia per poter andare a portare a spasso il cane la sera, è anche quello che di fronte ad un'aggressione ai danni di qualcun altro probabilmente non interviene.
Le società antiche non erano così, perché erano comunità: a Roma un vero e proprio diritto penale, inteso come sistema di sicurezza pubblica, non esisteva; quello che oggi è il diritto penale, rientrava nel diritto pubblico, ossia in quello degli affari che riguardano la società nel suo complesso. Anche oggi, di riflesso, il diritto penale è qualificato come branca del diritto pubblico, ma nei manuali universitari e in nessun altro luogo. Nella Roma antica, invece, era cosa comune che l'autore di un reato all'aperto venisse individuato immediatamente e messo in condizione di non nuocere prima ancora dell'intervento della forza pubblica: era il così detto linciaggio della folla, che però oggi lincia qualcuno solo se veramente numerosa, mentre un tempo interveniva animata da un senso etico e comunitario: il cittadino interveniva perché parte della comunità, minacciata dall'illecito commesso.

CONCLUSIONE

Prima dell'ordine pubblico, occorre dunque raggiungere l'ordine sociale, del quale l'ordine pubblico è solo un elemento. L'ordine sociale è invece un valore, un qualcosa di etico e quindi di interiore. È un valore solidale, dunque comunitario.
Per tendere ad esso ci vuole prima la comunità.



Giovanni Di Martino

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